Burnout: come riconoscerlo

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Burnout: il prezzo dell’assistenza

Coloro che operano nelle cosidette ‘helping professions’ non sempre sono consapevoli che possono incorrere in una sindrome dovuta al proprio lavoro definita come Sindrome di Burnout e studiata in principio da Christina Maslach (Maslach, 1982), che descrive così il fenomeno.

Different-professions“Il burnout è una sindrome di esaurimento emozionale, depersonalizzazione e riduzione delle capacità personali di risposta emotiva che può presentarsi in chi si “occupa della gente” per professione. Si tratta di una reazione all’instaurarsi di una tensione emozionale cronica provocata dal continuo contatto con altri esseri umani che sperimentino situazioni problematiche e/o motivi di sofferenza.” (Ivi, p. 20)

Può essere considerato una forma di stress occupazionale in cui il suo fattore caratteristico è l’interazione sociale fra l’operatore e il destinatario dell’aiuto.
Il suo nucleo è uno schema di sovraccarico emozionale, a cui segue l’esaurimento emozionale da parte di chi eccessivamente coinvolto sotto il profilo emozionale, tende sempre di più verso gli altri e alla fine si sente sopraffatto dalle richieste emozionali imposte dagli altri e incapace di farvi fronte.

Gli aspetti caratteristici del burnout sono tre:
1 – ESAURIMENTO EMOZIONALE – l’individuo si sente svuotato e sfinito, gli manca l’energia per affrontare un altro giorno, le sue risorse emozionali sono consumate e non c’è una sorgente da cui attingere di nuovo (quando nella persona si è installato l’esaurimento emozionale essa sente di non essere più in grado di dare qualcosa di Se’ agli altri).
2 – DEPERSONALIZZAZIONE – l’individuo vede gli altri negativamente, si fa di loro una cattiva opinione, si aspetta il peggio e infine dimostra quanto li detesti.
3 – RIDOTTA REALIZZAZIONE PERSONALE – l’individuo ha un tormentoso senso di inadeguatezza circa la propria capacità di stabilire relazioni con i propri assistiti che può indurre un auto-verdetto di “fallimento”.

Il suo instaurarsi non è improvviso, ma talmente graduale che il lavoratore ne è inconsapevole; avverte che c’è qualcosa che non va ma spesso non è in grado di qualificare e quantificare il suo disagio, e continua a lavorare facendo finta di niente e rifiutandosi di pensare che qualcosa non vada, ma ne è comunque condizionato e compromesso.
Per valutare l’esperienza che l’individuo fa del burnout Maslach e Susan E. Jackson hanno elaborato nel 1982 una scala standardizzata di misurazione detta MBI (Maslach Burnout Inventory; in italiano Scala Maslach del Burnout).
Essa è così strutturata:

Burnout

Il burnout viene alimentato da due tipologie di fattori:

1 – Fattori Esterni
Questa tipologia comprende:
– l’intensità emozionale del coinvolgimento con la gente,
– la focalizzazione negativa sui problemi,
– la mancanza di feedback positivo,
– il contatto scadente con i colleghi nell’ambiente di lavoro.

2 – Fattori Interni
Questi comprendono le caratteristiche personali dell’individuo e possono essere:
– demografiche (sesso, appartenenza ad un gruppo etnico, età, condizione coniugale e familiare, livello culturale),
– della personalità (intendendo come personalità i tratti mentali ecc…).

Metodi per la prevenzione del burnout.

Il modo migliore per sconfiggere il burnout è prima di tutto quello di impedirgli di manifestarsi.
Esistono due tipi di strategie per la gestione del burnout che sono una a livello individuale, ed uno a livello di metodi sociali ed istituzionali.
“Tali strategie possono essere impiegate dopo che il burnout si è manifestato, come mezzo per gestirlo, ma anche usate prima, come mezzo preventivo”(Ivi, p. 248).

A) Nella gestione individuale del burnout vengono messi come fattori:
– lavorare meglio anziché di più (fare la stessa cosa in modo diverso, fare delle pause, prendere le cose con più distacco)
– avere cura di sé stessi oltre che degli altri [accentuare i lati positivi, saper conoscere sé stessi (riconoscere di aver bisogno di strategie riequilibranti), riposo e rilassamento, tracciare i confini tra lavoro e vita privata ed infine se dopo tutti gli sforzi la situazione non migliora cambiare lavoro].

B) Nella gestione del burnout con metodi sociali e istituzionali si hanno due aspetti:
1 – sostegno sociale
a) la solidarietà dei colleghi (aiuto, conforto, comprensione della situazione, comparazione, gratificazione, senso dell’umorismo, fuga temporanea dagli impegni di lavoro)
b) come ottenere l’appoggio dei colleghi (elemento chiave è sempre la fiducia)
c) il ruolo del rituale di gruppo (es. in Giappone gli uomini d’affari si recano normalmente ai bagni pubblici)
d) rischi potenziali (resistenza alla partecipazione di gruppo).

2 – Migliorare il posto di lavoro
a) ottenere più risorse
b) lavorare meglio (divisione del lavoro, modificare il contatto con gli utenti, limitare l’inquinamento del tempo libero, prendere periodi di riposo, ottenere aiuto)

All’interno di una prospettiva formativa orientata a ridurre il burnout, può essere utile ricordare il concetto di interesse distaccato.
Se per contrastare il burnout la parola focale può essere equilibrio (con questo termine si vuole intendere che per dare qualcosa di te stesso devi controbilanciare dando qualcosa a te stesso), nel concetto di interesse distaccato questo termine ne rappresenta l’aspetto centrale.
Di fatto con l’interesse distaccato si ha (in teoria, perché in pratica risulta di difficile applicazione) una mescolanza ideale di compassione e di obiettività, riconoscendo che, sia l’intimità, sia la distanza, possono aiutare l’operatore nella relazione di aiuto.
Infatti con la vicinanza e l’interesse per l’utente l’infermiere può vederlo come un altro essere umano, d’altra parte restando distante e distaccato ha la possibilità di valutare obiettivamente i problemi e di risolverli in modo più ordinato e razionale (senza essere accecato da sentimenti e pregiudizi personali).
Non c’è dubbio che per conseguire questo obiettivo ci siano delle difficoltà intrinseche, ma nonostante ciò resta anche una meta per cui vale la pena lottare.

Il burnout in definitiva ha luogo a tre livelli:
– individuale. Il burnout è piu probabile se la persona è giovane, meno matura, con minore fiducia in se stessa; se è impulsiva e impaziente; se non ha vincoli familiare ma ha bisogno di altri che le diano approvazione e affetto; se ha obiettivi e aspettative discordanti con la realtà.
– interpersonale. Il carattere del proprio coinvolgimento con gli utenti può far precipitare il burnout. I sentimenti e le tensioni che fanno parte della relazione di aiuto, la focalizzazione negativa sui problemi, lo sforzo emozionale dell’empatia. Altro fattore possono essere le difficoltà con colleghi e superiori.
– istituzionale. Sono molteplici i modi in cui le istituzioni contribuiscono al burnout, tra i quali l’eccessivo numero di casi affidato al singolo, i regolamenti restrittivi, l’amministrazione scadente.
“La consapevolezza di questi tre livelli ai quali ha luogo il burnout può servire a perfezionare la nostra comprensione di tale fenomeno”(Ivi, p. 270).

All’interno di questi fattori si possono anche immaginare gli effetti dovuti alla crisi economica ed alla scarsità di mezzi finanziari e monetari. Lavorare in un ambiente senza sufficienti risorse e magari con la paura di non ricevere il proprio compenso monetario sicuramente non aiuta nel proprio lavoro quotidiano.

La sindrome del Burnout nella professione di infermiere.

“Le cause dell’abbandono scolastico e numerosi problemi della professione vengono abitualmente ascritti al fenomeno del burnout che sembra affliggere il personale infermieristico come peraltro tutte le cosiddette helping professions, cioè le professioni che hanno come oggetto di lavoro altre persone” (Guerra, 1992 p.115).

DoctorSecondo Guerra sono fondamentalmente di due tipi i problemi che si pongono circa gli infermieri attualmente: uno di quantità e uno di qualità.
Una ricerca della SAGO (Società di ricerca per l’organizzazione sanitaria) del 1991 sosteneva che gli infermieri in Italia, più che quantitativamente erano soprattutto mal distribuiti. Sembra invece che effettivamente il problema quantitativo esista se si usa come indicatore il tasso di abbandono già a livello delle scuole professionali.
Il problema passa da quantitativo a qualitativo quando andiamo ad osservare le cause degli abbandoni scolastici e professionali legati alla sindrome del burnout.
Infatti, come descritto all’inizio, questa sindrome di solito tende a presentarsi in quei soggetti che si “occupano della gente” per professione (le helping professions) e possono riguardare settori come: sanità, scuola, servizi sociali, servizi legali e “qualsiasi altro genere di attività che consente di fare del dare una professione” (Maslach, 1982 p. 6).
Quella che verrà messa in risalto in questo caso è la professione dell’infermiere della quale verranno analizzati gli aspetti riguardanti la propria identità.

La professione di infermiere.

Il personale infermieristico si rivela una risorsa strategica importante all’interno della struttura ospedaliera, vista l’ampiezza della funzione assistenziale che ricopre: nei confronti dei pazienti, nelle relazioni all’interno del reparto e nella funzionalità organizzativa.
Il ruolo degli infermieri viene di solito contrapposto a quello dei medici, figure centrali dell’istituzione ospedaliera, in quanto detentori del sapere che consente al sistema di essere produttivo.
L’identità professionale degli infermieri è data dalla descrizione della propria immagine professionale, cioè dal vissuto di uno scarto tra la realtà attuale e il modello ideale anticipato.
Questo modello si fonda sullo stereotipo della professione medica, stereotipo che produce un rapporto medico – infermiere caratterizzato da forte ambivalenza (fatto di ammirazione, ma anche di rivalità).
Di fatto, l’idea di una professione simile a quella medica si scontra con la realtà del lavoro che limita l’infermiere in una posizione subalterna: i medici accentrano le competenze rilevanti e significative, lasciando al personale paramedico attività secondarie e svalutate, fondate su dei saperi banalizzati, deboli che rendono fragili i loro possessori.
Forzatamente privati di potere tecnico strumentale, gli infermieri compensano la frustrazione mediante un incremento dell’intensità della relazione interpersonale con il paziente e la sopravvalutazione della stessa.
L’ambivalenza dei sentimenti nel rapporto con il personale medico si manifestano nella relazione con il paziente; nel primo caso, infatti, l’infermiere in assenza del medico tende ad assumerne gli atteggiamenti con il paziente, con la frustante consapevolezza però di non possedere il sapere legittimante, nel secondo caso, invece, l’infermiere si comporta come un paziente con il medico.
Una tappa significativa nella strutturazione dell’identità professionale è la scuola di specializzazione e il tirocinio, in cui allo studio teorico, spesso carente e lacunoso, si affianca una esperienza formativa che insegna ad assumere atteggiamenti di passività e sottomissione.

wp_doctorDeve essere detto, comunque, che questa identità cambia anche in funzione del reparto nel quale l’infermiere opera. Infatti coloro che lavorano nei reparti chirurgici, ed in particolare quelli delle sale operatorie (es. ferristi) hanno un’immagine di se’ piuttosto solida (dovuta appunto ad una più elevata perizia tecnica).
Diversamente, nei reparti di medicina interna, dove le degenze tendono ad essere più lunghe ed è richiesta una maggiore assistenza generica, l’infermiere viene impegnato in un rapporto stretto e faticoso.
Un reparto che deve essere segnalato a se’, è quello dell’accettazione nel quale il sapere medico (a causa dell’alto turn – over dei medici e quindi della loro bassa attendibilità) è praticamente assente e quindi consente “l’emersione delle capacità organizzative ed operative degli infermieri, in grado di gestire la situazione del servizio meglio del medico” (Guerra, 1992 p. 120).
Un’altra tappa fondamentale nell’individuazione del ruolo dell’infermiere riguarda il rapporto con il malato.
Infatti mentre i medici si occupano della malattia, le questioni dei rapporti interpersonali sono delegate al personale infermieristico (Una citazione particolare può riguardare il rapporto con i parenti dei malati, nel quale l’infermiere si schiera dalla parte dell’ospedale).

“L’angoscia e lo stress che accompagnano costantemente l’opera di assistenza infermieristica segnalano l’intensità e la profondità delle energie investite in questo laborioso processo di riparazione del malato e, in fantasia, del Se’.” (Guerra, 1992 p. 123)

Le difficoltà ed i conflitti connessi al ruolo di infermiere sono tali e tanti che non sorprende che sia piuttosto diffusa in questa professione la cosiddetta sindrome del burnout.

felicitaNel suo testo la Maslach (Maslach, 1982) descrive alcune tecniche messe appunto dallo Standford Heart Disease Prevention Program (programma di prevenzione delle malattie cardiocircolatorie) che permettono la gestione dello stress; naturalmente non sono gli unici metodi efficaci per il rilassamento, tuttavia si apprendono e si attuano con molta facilità. Esse possono essere, così riassunte (Ivi, pp. 278-286):

– esercizio di rilassamento muscolare profondo
– esercizio di rilassamento mentale
– esercizio di rilassamento dei singoli muscoli
– esercizio di immaginazione per il rilassamento mentale
– esercizio di rilassamento istantaneo.

A conclusione di ciò va comunque ricordato che esiste anche la possibilità di rivolgersi ad un professionista per prevenire oppure per affrontare tale situazione attraverso un percorso psicoterapeutico. Va sottolineato inoltre come in alcuni settori, vedi comunità terapeutiche o case famiglia gli operatori vengono assistiti con incontri e terapie di gruppo messi a disposizione dalla struttura per cui viene svolto il proprio lavoro. Questo per sottolineare come nel caso in cui le risorse personali possano non rivelarsi sufficienti ad affrontare una situazione diventata troppo pesante, comunque il chiedere aiuto può ripristinare le energie per aiutare gli altri.

Bibliografia.

Guerra, G. (1992). Psicosociologia dell’ospedale. Analisi organizzativa e processi di cambiamento. Roma: La Nuova Italia Scientifica.

Maslach, C. (ed. or. 1982). Burnout – The cost of caring. New York: Prentice Hall Press, Inc. [trad. it. a cura di Anna Rita Vignati e Manlio Lucentini, La sindrome del Burnout: il prezzo dell’aiuto agli altri (1997)(2 ed.). Assisi: Cittadella Editrice.]

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