Il gioco nel processo creativo

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Autore: Beatrice Maiani

creativo

Le descrizioni di eventi di insight e di esperienze creative sono pressoché coincidenti.

Il pensiero creativo è un concetto spesso abusato e banalizzato, quasi fosse solo una strategia da “imparare” o uno schema mentale da riprogrammare. Il pensiero creativo in realtà si fonda su modalità di pensiero che tutti possediamo fin da bambini ma che, per poter risultare efficace, dovrebbe essere sviluppato assieme alla nostra vita emozionale e sociale.

Un bambino che gioca o che impara per la prima volta qualcosa si approccia all’esperienza in un modo globale, intuitivo e spontaneo, utilizzando tutti i 5 sensi e una formidabile capacità di immaginazione. Crescendo spesso si smarrisce questa modalità di pensiero, troppo abituati ad utilizzare percorsi di pensiero logico-razionali fino a perdere, addirittura, le modalità di accesso all’esperienza.

Il nostro cervello è composto da due emisferi: il sinistro che fa capo al pensiero logico-razionale, riproduttivo e convergente che utilizza una logica analitica, guarda alle singole parti e si accosta ai problemi applicando meccanicamente dei principi già conosciuti. L’emisfero destro invece fa capo al pensiero creativo anche detto produttivo o divergente: si attiva spontaneamente ed opera effettuando una sintesi guardando ai problemi nella loro globalità e intuitivamente rileva nuove organizzazioni dei campi problematici producendo nuove soluzioni o conoscenze (insight).

Il pensiero creativo è strettamente dipendente dalla parte emozionale; gli insight si generano a partire dalla “superficie” dell’esperienza (l’evidenza), permettendo alla persona di fare le sue esperienze. Il percorso verso la piena consapevolezza si dimostra essere graduale.
Una caratteristica fondamentale del pensiero creativo è la condivisione e lo scambio di idee: ad esempio il braimstorming, letteralmente “tempesta di idee”, tecnica di gruppo finalizzata a sollecitare il pensiero creativo del partecipanti senza giudicare, né razionalizzare quanto ognuno dice, usata da gruppi di lavoro per eludere gli schemi di pensiero logico-analitico e sollecitare idee innovative.
Inoltre, sebbene l’“insight” sopraggiunga all’improvviso, visto che è difficile esprimere a parole quanto si è compreso, spesso è necessario un periodo di incubazione nell’organismo che porterà ad un’ulteriore intuizione fenomenologicamente nuova per il paziente; gli insight suggeriti dal nostro pensiero creativo possono agire da motore per altri insight.
I requisiti principali per un processo creativo in terapia sono identificabili in: empatia, autenticità e rispetto incondizionato per la persona che ci troviamo di fronte.

schema

Wallace (1926) descrisse il processo creativo in 4 stadi che possiamo far corrispondere anche alle fasi di formazione dell’insight:
· preparazione (analisi del problema);
· incubazione (elaborazione inconsapevole attraverso processi inconsci)
· illuminazione (insight improvviso)
· verifica (perfezionamento e correzione).

In termini di creatività Donald Winnicott occupa un posto di rilievo; intendendo per creatività qualcosa di ampio e basilare riassumibile nel “sentirsi vivi”.

Nelle sue teorizzazioni Winnicott intende con questo termine la modalità psichica con cui ognuno si pone con la realtà esterna; la sofferenza mentale sarebbe una conseguenza dell’insoddisfacente incontro dell’individuo con la realtà esterna; la felicità di un individuo dipende quindi dalla sua capacità creativa. Alla base di un insoddisfacente incontro con la realtà esterna ci sarebbe un “rovesciamento dell’adattamento” che porta molte persone ad avere la sensazione che qualcosa in loro non funzioni o perché avvertono come estranei i fatti della vita oppure, al contrario, non sanno sognare ed immaginare.

Per Winnicott la necessità di immaginare si trova in un’area neutra (lo Spazio Potenziale) che serve come mediazione tra realtà interna ed esterna: uno spazio virtuale che consente di conciliare due realtà. La creazione di quest’area non è istintiva e garantita ma dipende dal modo in cui avviene il processo di crescita.

Gli oggetti transizionali si collocano in questa terza area in cui, in modo prelogico, vengono poste le basi dei futuri interessi culturali nonché della persona. C’è una sorta di linea continua che va dal gioco alla creatività culturale e c’è nel gioco qualcosa di fondamentale per la costruzione dell’identità. Il bambino con gli oggetti transizionali sostituisce la madre, togliergli l’oggetto significa in qualche modo togliergli la madre che, in un primo momento, non è distinta da sè quindi è lui stesso. La madre, gli oggetti, devono inizialmente illuderlo rafforzando il suo essere onnipotente, poi, gradualmente, egli affronterà una fase distruttiva in cui la madre è oggetto di un'”aggressività” che ha il preciso scopo di saggiarne la realtà. Il compito della madre è, per Winnicott, sopravvivere a questi tentativi di distruzione.

Per l’autore la salvezza di ogni bambino risiede nella sua creatività; questa consente infatti di opporsi a quell’atteggiamento mentale che, nel rapporto con la realtà esterna, spinge verso una sorta di “conformità o compiacenza”. Dopo la primissima delicata fase la creatività del bambino continua a manifestarsi nel gioco, che avviene nello spazio potenziale, in un modo che implica l’accettazione e non risoluzione del paradosso: “Il gioco è sempre eccitante. É eccitante .. perché è sempre sul filo del rasoio tra ciò che è soggettivo e ciò che è oggettivamente percepito.”

Quello che genericamente chiamiamo gioco rappresenta, per semplificare, la libertà di essere creativi, di essere se stessi e interi, frutto di un lungo e faticoso processo ove l’interazione mamma-bambino è protagonista.

La creatività appartiene dunque al modo con cui ogni individuo si incontra con la realtà esterna e nasce nel bambino; quando non c’è corretto sviluppo della creatività c’è la “conformità”. Questa porta l’individuo ad esperire un senso di futilità associato all’idea che nulla sia importante e che la vita non valga la pena di essere vissuta. Essere compiacenti significa sviluppare un falso Sè, un sè che si adatta alle richieste dell’ambiente sociale e che, per far spazio all’immagine che ne hanno scelto gli altri, occulta se stesso e si perde. Chi vive nella compiacenza, secondo Winnicott, non potrà mai essere pienamente creativo.

Interessantissima l’analogia con la pratica della psicoterapia. Winnicott riporta una serie di esempi di sedute in cui lo psicanalista funge, per così dire, da oggetto transizionale per il paziente che lo vuole “distruggere”. Il suo compito essenziale è dunque quello di sopravvivere all’atto distruttivo. Questo porterebbe all’emersione spontanea dei nodi irrisolti da parte dello stesso paziente, un’eventuale interpretazione inibirebbe il processo transizionale, falsando le possibilità di cambiamento.

Ci sarebbe dunque, secondo questa ottica, qualcosa di essenziale nei primi momenti di vita; dinamiche inafferrabili che, in modo relativamente graduale, tracciano linee indelebili sul “poter essere” di ognuno. La nostra identità si svilupperebbe a partire da un solco tracciato in precedenza e che resta aperto. La cultura, soprattutto, rappresenta un prolungamento di quel qualcosa che, da bambini, definiva il nostro primo rapportarci al mondo; sperimentavamo noi stessi, ci misuravamo e misuravamo per la prima volta le cose attraverso un'”attività” come il gioco che, in seguito, persiste nelle forme impensate delle esperienze culturali. Sembra che il gioco nel bambino, e la cultura nell’adulto, abbiano un ruolo centrale nella definizione del senso dell’esistenza della persona. Dove manca il gioco, manca, in qualche modo, un Io completo.

BIBLIOGRAFIA:

– Castonguay, L. G., & Hill, C. E. (2008). L’insight in Psicoterapia. Roma: Sovera Multimedia.

– Winnicott, D., W. (1971). Gioco e realtà. Roma: Armando Editore.

– Zinker, J (2002). Processi creative in psicoterapia della Gestalt. Milano: Franco Angeli.

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