Pregiudizi e stereotipi

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Autore: Dott. Nicola Gentile

All’interno di una cultura sempre più globale, caratterizzata da scambi non soltanto economici, ma anche da conflitti di tipo inter – etnico che significato assumono le parole pregiudizio e stereotipo? A tale questione cerca di dare una definizione Paola Villano nel suo testo, precisando che questi due termini in molti casi vengono utilizzati come sinonimi, ma in realtà <<lo stereotipo è […] il nucleo cognitivo del pregiudizio>>. (Ivi, p. 7)

Come nascono gli stereotipi? Sono state date molte spiegazioni in passato e vari studi ne hanno cercato le cause. Nel primo capitolo, in cui viene spiegata la natura degli stereotipi, l’autrice sintetizza alcune teorie quali: lo stereotipo come distorsione mentale; la spiegazione psicoanalitica; l’approccio del conflitto realistico; la spiegazione culturale; la prospettiva cognitiva; la spiegazione motivazionale attraverso la teoria dell’identità sociale e la teoria della categorizzazione di sé.

Interessante è di tutte le affermazioni fatte la seguente:

<<Anche l’antisemitismo è stato spiegato da alcuni psicologi secondo la logica per cui questo fenomeno, a livello collettivo, emergerebbe quando la pressione dei problemi sociali, economici e politici diventa intollerabile e i gruppi si trovano in competizione per accaparrarsi le poche risorse disponibili>>. (Ivi, p. 14)

Ed anche:

<<che una forte identificazione con il proprio gruppo presupponga un autostereotipo positivo>>. (Ivi., p. 17)

Da questi due commenti ognuno può trarre le conclusioni che ritiene più opportune, seguendo quei pregiudizi e stereotipi che fanno parte della propria storia di vita.

Ma quali processi cognitivi sono alla base degli stereotipi e dei  pregiudizi? Sicuramente il processo principale è quello della categorizzazione intesa come procedimento secondo cui gli individui ordinano mentalmente il loro mondo sociale e riducono la quantità di informazioni con cui si confrontano.

In un certo senso spiega la Villano <<si è visto come l’uso di categorie per ordinare il mondo sia un processo ordinario della mente umana>>. (Ivi, p.27)

La stereotipizzazione sopraggiunge nel momento in cui all’identificazione categoriale, attraverso quegli elementi di base che accomunano i membri di una categoria si aggiungono altri requisiti o caratteristiche di tipo psicologico o attinenti a qualità morali o giudizi di valore come nell’esempio che cita l’autrice della nostra amica Irene, “donna”, a cui in quanto donna attribuiamo il fatto che “ami i bambini”.

Tale stereotipo è positivo, ma esistono altri esempi che potrebbero attraverso giudizi e attribuzioni diverse creare uno stereotipo negativo.

Nel secondo capitolo Paola Villano spiega come gli stereotipi possono servire per conoscere il mondo sociale.

Un processo importante nella creazione dello stereotipo e quello dell’inferenza. Tale procedimento può essere positivo se tiene in considerazione molti aspetti o tratti di una situazione; diventa invece negativo quando si basa su un unico tratto distintivo o su impressioni soggettive in realtà inesistenti.

<<Come per il processo di categorizzazione, dunque, anche per quello di inferenza esiste una differenza fra un suo uso ordinario e uno distorto>>. (Ivi, p.29)

Altri due fenomeni che agiscono nel processo di stereotipizzazione sono: quello della correlazione illusoria, intesa come un’associazione inesistente tra due caratteristiche, come per esempio l’appartenenza alla categoria “donna” e il non essere portati per la matematica, ma anche portare una divisa ed essere considerati autoritari; il secondo interessante fenomeno è quello delle profezie che si autoadempiono, nel quale lo stereotipo favorendo la risposta in termini comportamentali dell’individuo – bersaglio, secondo le attese create dallo stereotipo stesso, che a questo punto confermano l’ipotesi del percepente.

Viene poi affrontato lo stereotipo secondo l’approccio cognitivo di Tajfel con l’osservazione e misurazione degli stereotipi impliciti, cioè fuori dalla consapevolezza del soggetto, attraverso l’IAT (Implicit Association Test) e degli stereotipi correlati agli stati d’animo.

Infine vengono osservate le prospettive della modifica dello stereotipo e del superamento delle barriere da esso create.

Nel terzo capitolo viene, quindi affrontato il pregiudizio, partendo dall’etimologia del termine che l’autrice definisce come un’opinione precostituita, non fondata su un esame diretto e attento. Vengono individuati due principali livelli di analisi per spiegare questo fenomeno sociale: il primo è un livello intraindividuale; il secondo riguarda più l’aspetto contestuale e quindi la dimensione interpersonale e intergruppi.

La concezione individualistica parte dalla visione freudiana <<di capro espiatorio secondo cui gli individui, quando sono frustrati o infelici, tendono a mostrare più aggressività nei confronti dei gruppi privi di potere, che non sono graditi e visibili>>. (Ivi, p. 51)

Sempre all’interno di tale visione sono state approfondite altre teorie quali: la teoria della frustrazione – aggressività; la teoria della personalità autoritaria; la teoria della personalità dogmatica. Queste teorie, però, mettono in risalto le motivazioni individuali che possono portare al pregiudizio, mentre una serie di studi più recenti sul <<pregiudizio moderno>> (Ivi, p. 56) hanno messo in risalto le differenze cognitive intraindividuali osservando le vecchie e le nuove forme di pregiudizio e razzismo.

Nel quarto capitolo viene affrontato un altro livello di analisi, e cioè quello del pregiudizio nelle relazioni interpersonali e intergruppi. Per prima cosa l’autrice spiega come il pregiudizio possa essere inteso come <<un atteggiamento di risposta negativa nei confronti delle persone appartenenti a una determinata categoria>>. (Ivi, p. 68)

Delinea, quindi l’atteggiamento come un anello di congiunzione fra l’individuo e la società nel suo complesso, spostando l’attenzione prima sull’interpretazione di Smith del pregiudizio come emozione, poi sugli studi che hanno riguardato il livello di analisi contestuale, come quelli di Allport. Si arriva così al pregiudizio come processo di gruppo, o meglio alla comprensione di tale fenomeno attraverso i processi di gruppo, come per esempio gli interessi oggettivi del gruppo di appartenenza.

Importante è quindi il ruolo dell’identità sociale, in quanto le persone agiscono e sentono come membri di un gruppo, sviluppando così emozioni positive e cameratismo oltre a una forte coesione, a discapito però delle relazioni con l’altro gruppo che possono diventare ostili e distruttive e portare a veri e propri conflitti sociali.

L’autrice quindi elenca una serie di studi e modelli che hanno preso in considerazione la possibilità di ridurre il pregiudizio, per esempio attraverso il contatto fra gruppi, che però avrà effetti positivi solo a particolari condizioni. Alla fine Paola Villano giunge alla seguente conclusione:

<<Pertanto gli esiti positivi nella riduzione del pregiudizio possono essere favoriti intervenendo a più livelli causali>>. (Ivi, p. 87)

Nell’ultimo capitolo viene preso in considerazione il linguaggio del pregiudizio, o meglio gli studi di psicologia sociale che hanno tenuto conto dell’importanza del linguaggio, attraverso l’analisi del discorso, il quale <<comprende tutte le forme di interazione verbale parlata, formale o informale, e tutti i tipi di testi scritti>>. (Ivi, p 91)

L’autrice illustra, quindi, quella parte della psicologia sociale definita come psicologia discorsiva, descrivendo una modalità diversa per studiare la categorizzazione sociale e l’esclusione degli altri attraverso il discorso sostenendo che gli <<atti discorsivi non sono in sé discriminatori, ma possono diventarlo nel momento in cui riproducono una necessità oggettiva di giustificare e legittimare le divisioni etniche e le ineguaglianze sociali, culturali ed economiche che, agli occhi della gente, appaiono normali e quindi inevitabili>>. (Ivi, p. 104)

In conclusione, tale pubblicazione scritta in modo chiaro e semplice, risulta particolarmente interessante e stimola il lettore ad approfondire gli argomenti trattati.

Bibliografia.

– Villano, P. (2003). Pregiudizi e stereotipi. Roma: Carrocci editore S.p.A.

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